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Marlon Brando nella Napoli del ’78

Aggiornamento: 9 mag 2021

Alessandro Gassmann e Daniele Russo rileggono il film di Kazan



Stefano Prestisimone

Dal leggendario Nicholson del “Cuculo” a un altro mito, Terry Malloy, il giovanottone in canottiera e bicipiti poderosi di Fronte del porto che Marlon Brando trasformò in icona del cinema. Nel film di Elia Kazan, datato 1958, si parlava di New York; nella pièce in scena al Bellini dal 6 al 25 novembre tutto è stato trasferito a Napoli, con Daniele Russo che prende le sembianze di Malloy e Alessandro Gassmann, felice per i trionfi d’ascolto dei Bastardi di Pizzofalcone, ad affrontare, dopo il dramma epocale del “Cuculo”, la regia teatrale di un altro mito di celluloide. La storia segue la redenzione del protagonista, operaio portuale ed ex promessa del pugilato, coinvolto dal losco fratello Charley in un sindacato che, con metodi banditeschi, gestisce i lavoratori portuali. L’adattamento è firmato da Enrico Ianniello, Gassmann ha curato anche le scenografie, mentre nel cast ci sono Antimo Casertano, Orlando Cinque, Sergio Del Prete, Francesca De Nicolais, Vincenzo Esposito, Ernesto Lama, Daniele Marino, Biagio Musella, Edoardo Sorgente, Pierluigi Tortora e Bruno Tràmice. Coproduzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Catania.

Gassmann, come nasce l’idea di questo spettacolo?

“Tutto parte dal mio rapporto con il Bellini e dal successo di Qualcuno volò sul nido del cuculo, che in quattro stagioni ci ha dato enormi soddisfazioni. Mi sono trovato molto bene con i fratelli Russo, che gestiscono il teatro. Sono motivati, coraggiosi, a Napoli offrono la prosa più interessante. I numeri lo confermano. Daniele Russo è un attore poliedrico, che porta nella voce e sul volto la Napoli popolare. Progettando un nuovo spettacolo da fare assieme, ho pensato a un testo che avesse anche un valore sociale importante”.

Ed ecco, quindi, Fronte del porto.

“L’opera di Schulberg si prestava molto, e l’adattamento di Ianniello è funzionale al risultato. Abbiamo spostato l’azione dal porto di New York a quello di Napoli nel 1978, quando la camorra era organizzata e gli operai erano costretti a omertà, paura e minacce. Con la sua lingua, gli umori, le atmosfere, questa è la metropoli ideale in cui trasferire il capolavoro di Kazan”.

Cosa vedrà il pubblico?

“Ho voluto curare io la scenografia, che non riduce luoghi e spazi. Ho creato una scena molto mobile, che produce 20 luoghi diversi. L’idea visiva è quella di una sorta di trompe l’oeil della verità, con una serie di proiezioni sul fondoscena. E come se gli spettatori vedessero uno spettacolo teatrale all’interno di un film”.

Daniele Russo, per lei dopo il McMurphy di Nicholson, un’altra icona cinematografica come Brando.

“Il ricordo del “Cuculo” era ingombrante. In questo caso, per fortuna, il film è datato e si eviteranno paragoni, peraltro insostenibili. Del resto, avevo fatto anche il McDowell di Arancia meccanica. Insomma, sembra proprio che me li vada a cercare i guai. Qui tutto il lavoro prende un altro respiro con la regia di Gassmann, partner eccezionale del quale ho la fortuna di essere amico. Il linguaggio è diverso dall’originale, così come l’ambientazione; dunque, lo spettacolo ha una vita propria, lontana dai fasti hollywoodiani”.


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