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“Mal d’Hamlè”. Così l’artista va al sacrificio


di Antonio Tedesco

Mal d’Hamlé è uno dei testi più radicali e meno conosciuti di Enzo Moscato. Che lo stesso autore portò in scena nella stagione 1994/95 e da allora mai più ripreso. Quando ci capitò di vederlo, a Galleria Toledo, nel febbraio del ’95, dopo l’esordio al festival di Santarcangelo, ci impressionò molto per la forza e la violenza espressiva, che metteva in campo. Una dolorosa riflessione sul senso di essere artisti in un mondo che cannibalizza e divora anche ciò che ama. Dove il poeta-teatrante, in particolare, sulla scorta della figura-simbolo di Amleto (del suo disagio nei confronti del mondo che lo circonda), viene qui rappresentato come il sacro officiante di un rito. E allo stesso tempo come martire che, sull’altare di quel rito, non può far altro che sacrificarsi, o essere sacrificato.

Il testo di Moscato è completamente calato nel suo tipico linguaggio, dove la reiterazione di frasi e parole si fa ossessione di un senso che sfugge, un senso inafferrabile e ingannatore che genera fascinazione e ribellione allo stesso tempo. Saturo di allusioni, di rimandi e di richiami. Anche ai suoi amici-maestri (Leo De Berardinis, Carmelo Bene, Antonio Neiwiller, Annibale Ruccello) che vengono invocati come in una sorta di giaculatoria laica. Un testo a suo modo “perturbante” e pieno di stimoli che non per caso, sicuramente, Amelia Longobardi ha scelto di riportare in scena. Forte della sua esperienza di laboratorio teatrale maturata con Salvatore Cantalupo (che è stato a sua volta allievo e collaboratore di Antonio Neiwiller), la Longobardi ha trovato, probabilmente, in questa sorta di “acuto drammaturgico” le coordinate giuste nelle quali incanalare un’idea del fare teatro molto diretta e personale. Il punto di sintesi di un lungo lavoro dove l’affermazione di un’idea e di un metodo si realizzano pienamente nel sacrificio rituale che nel loro stesso nome viene compiuto.

Il testo originario di Moscato è stato rivisto e riadattato dalla stessa Longobardi (che oltre ad essere tra gli interpreti cura anche la regia dello spettacolo) con Angela Raimondi.

“Abbiamo lavorato sul testo originale, cercando di mettere in evidenza e dare nuova luce a lati e sfaccettature dell’opera che più rispondevano alle nostre attitudini ed esigenze espressive”.

Il lavoro è stato condotto nell’ambito del laboratorio teatrale Memini e prodotto dall’associazione Teatro del Sottosuolo di Carbonia. Con la regista-interprete sono in scena al Teatro Avanposto Numero Zero di Napoli, il 27 e 28 aprile, per la rassegna “Femminile Periodico”, Ambra Marcozzi, Cristina Messere, Carolina Romano, Bruno Toro.


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