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”La zattera di Gericault” di Carlo Longo, regia di Piero Maccarinelli


Di Rita Felerico

Quante volte abbiamo pensato di tornare indietro nel tempo, di fermarlo per poter rivivere i nostri momenti più belli, di averlo a disposizione per capire le nostre azioni e scelte, per conoscerci meglio, per comprendere i nostri errori, per fermare ciò che accade e cambiare il corso delle cose. L’idea di andare a ritroso nel tempo, per condividere con gli spettatori la percezione delle emozioni e dei pensieri di Thèodore Gericault, di scoprire cosa c’è dietro l’ideazione e creazione di un’opera d’arte, del suo significato simbolico e del peso e valore che può avere all’interno non solo della storia dell’arte ma, come nel caso della Zattera della Medusa, divenire un affaire politico è l’idea vincente.

La zattera di Gericault di Carlo Longo per la regia di Piero Maccarinelli che ha inaugurato la stagione del Teatro San Ferdinando lo scorso 27 ottobre, racconta con questa modalità la nascita di un capolavoro, narrando le fragilità, i timori, le genialità del suo autore, Gericault , e della sua vicenda umana, una vita breve ( morì a soli 32 anni ) trascorsa fra amici / nemici, zii e complici e soprattutto segnata da una storia d’amore impossibile, da un figlio mai conosciuto e dalla perdita della madre in tenera età.

Un soffio di follia accompagna l’esistenza di Thèodore; lo si legge dalle sue opere, dal corazziere ferito che abbandona il campo di battaglia, al cavallo trattenuto da schiavi, fino ai ritratti dei malati di mente. Gericault pensa a dipingere la zattera colpito da un tragico episodio, il naufragio della nave Meduse al largo del Senegal, causato dalla inesperienza e incapacità del capitano, al comando solo per essere un fedele della monarchia. Una scelta, quella del capitano, unita ad un comportamento etico indicibile; dopo aver messo in salvo se stesso e una parte di passeggeri, la ciurma, 147 persone, fu fatta salire su di una zattera lasciata senza guida e senza sufficienti viveri. Quando la nave Argus riesce ad intercettare la zattera, sono rimaste solo 15 persone, che per sopravvivere erano arrivate anche al cannibalismo. Ciò che accade sulla zattera lo rivela all’artista un sopravvissuto, Corréard, che racconta della terribile esperienza in un libro, una vicenda divenuta subito nella immaginazione collettiva emblema di una Francia in disfacimento, di una monarchia in difficoltà dopo Napoleone. Sulla zattera cadaveri, corpi disfatti, dolore che avvolge il groviglio di mani, braccia, volti senza speranza, avvolti da colori che illuminano solo parti di corpi.

L’opera fu concepita in tre anni e l’artista per rendere più vicino alla realtà il suo linguaggio artistico, non esita a comprare cadaveri, studiarli nel loro deperimento; gli è vicino il fidato Jamar che lo chiama Maestro, che vuole imparare il mestiere ma che alla fine rinuncia a seguire la sua ispirazione per l’incapacità di seguirlo nella sua artistica follia.

La linea che unisce arte, follia e capacità di leggere la ‘verità’, viene così descritta dal linguaggio drammaturgico attraverso i personaggi che guardano nelle pieghe nascoste della grande tela – rifiutata dal Louvre dopo l’esposizione al salon di Parigi del 1819 e acquistata dal Museo dopo la morte di Thèodore – che man mano da compiuta, dal tempo che passa la vediamo arrivare nei suoi segni e linee iniziali.

Gericault , Lorenzo Gleijeses, si muove con disinvolta capacità di mimesi, come Anna Ammirati, bravissima nei panni della zia/amante Alexandrine Caruel. Meravigliosa l’azione attoriale di Claudio Di Palma, Corréard, ritmata, dolorosamente intensa; commovente e trasparente nei suoi sentimenti familiari lo zio fratello della madre, Jean Baptiste Caruel, interpretato da un tenero,convinto Nello Mascia. Una prova di qualità la dona Francesco Roccasecca, Jamar, animato dal desiderio giovanile di imparare il ‘mestiere’ ,di speranze per il futuro.

Qualche segno di regia più forte volto a legare omogeneamente le parti di uno spettacolo dalle molte intuizioni e valori di parola, avrebbe superato gli sfaldamenti che, in alcuni punti dell’azione scenica, si percepiscono. Le luci, i costumi e la scenografia non mancano di essere una cornice suggestiva e pertinente per questa edizione della Zattera, una produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale.


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