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Il regno profondo. Perché sei qui?

Aggiornamento: 9 mag 2021

Castellucci e Guidi artefici di una “lettura drammatica” su domande senza risposte



di Antonio Tedesco

È definito “lettura drammatica” lo spettacolo Il regno profondo. Perché sei qui?, scritto da Claudia Castellucci, con la regia vocale di Chiara Guidi, entrambe anche interpreti, che sarà in scena a Galleria Toledo il 27 e 28 aprile 2019. In realtà si tratta di molto più di una semplice “lettura”. È un’immersione (teatrale) nel profondo della natura umana che si dibatte da sempre, a ogni livello, tra dubbi e domande senza risposta (perché sei qui?… appunto). Realizzata, però, scivolando con grande leggerezza sulla superficie di tali capitali domande. Facendo scontrare e, per certi versi, anche soccombere, la profondità e la trascendenza con la banalità del quotidiano. Come a voler affermare il “vero”, il “concreto”, il “tangibile”. E poi vederselo sfuggire tra le mani. Ma senza rinunciare, per questo, al buffo e al comico. A partire dalla maniera in cui sono abbigliate le due attrici in scena. Dei dimessi e, appunto, banali tailleur, identici per entrambe. Quasi una il doppio dell’altra, che interagiscono unendosi in una sola voce, per poi distanziarsi, contrastandosi.

Lo spettacolo, al di là della sua definizione di “lettura drammatica”, è in realtà una raffinata operazione teatrale. Nella quale le due interpreti, giocando in sottrazione, tendono a cogliere l’essenza stessa dell’arte scenica. Affermando, con il loro lavoro, che il Teatro, prima di tutto, è dentro chi lo fa. E richiede precisione, rigore, serietà, nel lavoro drammaturgico come in quello attoriale. Muovendo da questi principi il testo di Claudia Castellucci trova corpo e forma nella “messa in scena” vocale orchestrata dalla regia di Chiara Guidi. Quest’ultima da tempo sta sviluppando e approfondendo il concetto di una “drammaturgia della voce”. Dove il “portato vocale” non è semplice dizione di un testo, né mero veicolo di parole, ma è a sua volta un produttore di senso, uno strumento che emette suoni di cui le parole stesse, la loro precisa disposizione metrica, sono come le note di una partitura musicale che nella voce si dissolvono, si fanno ritmo, per giungere a un significato (o “significante”) più profondo e più “indicibile”.

Lo spettacolo, prodotto dalla Compagnia Socìetas (ex Socìetas Raffaello Sanzio), parte di un ciclo di cui sono già andati in scena La vita delle vite e Dialogo degli schiavi, si avvale anche della proiezione di brevi filmati e del commento sonoro di Scott Gibbons, e ha già raccolto favori in numerosi festival e piazze italiane, portando con sé un’idea di teatro pienamente coerente a quella delle sue interpreti-artefici. E cioè quella di un’arte matura, piena ed essenziale a un tempo, scarna e diretta, priva di orpelli e superflue sovrastrutture. Un’arte che aderisce, fino a identificarsene completamente, con il suo strumento espressivo (la voce che si fa teatro).



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