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Il giardino dei ciliegi

  • proscenioweb
  • 6 giu 2022
  • Tempo di lettura: 2 min

Alessandro Serra dà uno scossone al sonnolento mondo del teatro


Il giardino dei ciliegi

Di Pasquale Esposito


A Cechov sarebbe piaciuto il Cechov di Alessandro Serra. “Il giardino dei ciliegi” visto al Teatro Bellini di Napoli (24-29 maggio) con la regia del giovane regista, infatti fa tabula rasa dei cliché e della polvere accumulatasi nei secoli tra le pagine del commediografo russo. Serra è l’artefice unico dello spettacolo: firma regia, drammaturgia, scene, luci e costumi. Niente abiti bianchi come nel “Giardino” di Strehler, niente cani in lontananza e grilli nella notte come in quello di Stanislvaski. E nemmeno i fremiti i sospiri le pause le atmosfere di tanti allestimenti fotocopia. Alessandro Serra dopo aver dato uno scossone al sonnolento mondo del teatro, con un “Macbeth” recitato in sardo (Macbettu), feroce e barbarico, stupisce e affascina con un allestimento in cui fa tutto ciò che non è mai stato fatto con Cechov. In un contenitore color ocra agiscono i personaggi vestiti con tutte le sfumature dell’ocra. Così da sembrare creature sognate in un sogno di Cechov. Appaiono, danzano, spariscono nei bauli, fanno tintinnare bicchieri, evocano ombre, a volte gridano come guerrieri, e giocano e ridono come bimbi. E come bambini passano dalla tristezza all’allegria. In questa giostra di emozioni gli attori assecondano con bella versatilità la partitura ordita dal regista, con la precisione di Bob Wilson e la leggerezza di Pina Bausch. Valentina Sperlì dona una spensieratezza mai patetica al personaggio di Ljubòv Andreievna, riluttante a qualsiasi saggia considerazione sulle necessità di vendere il giardino, lontana anni luce dalla divinizzazione del denaro. Nonostante i consigli di Lopachin, scolpito da Marco Sgrosso con forte temperamento. Completano il paesaggio onirico di questa pièce un folto gruppo di attori che vale la pena ricordare: Arianna Aloi, Andrea Bartolomeo, Massimiliano Donato, Chiara Michelini, Felice Montervino, Paolo Musio, Massimiliano Poli, Miriam Russo, Paola Senatore, e Bruno Stori nei panni mitici del mitico Firs, “servitore ottantasettenne” nella didascalia di Cechov, rappresentante nostalgico di un mondo in via di sparizione. Nel bel finale sarà l’unico a restare seduto, seppure sospeso in un grappolo di sedie, mentre tutti gli attori si coricheranno sul pavimento, come nell’immagine di inizio spettacolo. Dorme ancora una volta, il gioco della vita.


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