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Hypate, storia di una donna

Alla Sala Assoli di Napoli il 20 e il 21 maggio. Meritati applausi finali



Hypate, storia di una donna
foto di Marco Balzano

di Generoso di Biase


Un mito di sempre sul palcoscenico della Sala Assoli ai Quartieri Spagnoli di Napoli, il 20 e il 21 maggio. "Hypàte". Donna di grande valore: matematica, filosofa, astrologa della scuola di Alessandria d’Egitto, famosa nel mondo del IV secolo d.C. per la sua cultura mai al servizio dei potenti che la temettero al punto tale da causarne la morte violenta.

Ipazia è stata raccontata sotto gli aspetti più disparati e contrastanti che hanno contribuito ad alimentare il mito nei secoli. Eppure, Aniello Mallardo, regista e autore dei testi, è stato capace di sorprendere il pubblico, portando in scena una Ipazia semplicemente donna e il suo desiderio di essere considerata tale piuttosto che simbolo. Più volte, sul palcoscenico, l’astronoma Alessandrina rimarca il suo essere “carne ed ossa” e la sua indifferenza al mito e alla strumentalizzazione cui il mito si presta e si è di fatto prestato nel tempo.

Pur sapendo che esprimere pareri su un personaggio storico di tale forza e così tanto raccontato ci espone al facile errore, non possiamo non ritenere che Mallardo abbia colto nel segno. Non ha contraddetto quanto di positivo è stato raccontato da sempre sul personaggio Ipazia, ma ha aggiunto all’icona, l’aspetto umano. Con uno stratagemma da provetto scrittore, ha lasciato che fossero i silenzi e l’indifferenza della donna, da una parte, e le vane esortazioni di Oreste, di Sinesio e dello stesso terribile Cirillo, vescovo fondamentalista, a cedere a qualche compromesso per veder salva la vita, dall’altra, a palesare il personaggio e la sua grandezza. Ipazia, invece, allorquando parla a se stessa, pretende di mettere in evidenza la sua umanità e la consequenziale ricerca di un senso coerente della vita, restando del tutto negletta a spiegare gli avvenimenti che l’hanno coinvolta. Si limita, semmai, a descriverli, come fa con i momenti del suo assassinio, atto intrinsecamente abominevole perché conduce un essere umano ad una fine brutale e ingiusta, senza bisogno di spiegazioni.

L’ingiusto che non dovrebbe prestarsi ad interpretazione alcuna, a strumentalizzazione alcuna.

I pregi della pièce teatrale non si limitano a questo. La scena, seppur, con eleganza, ridotta all’essenziale, unitamente ai costumi, rende alla perfezione l’immagine che abbiamo del periodo storico in cui si svolge la vicenda e fa da cornice ideale all’intensità della recitazione degli ottimi Andrea Palladino (il prefetto Oreste), Giuseppe Cerrone (Sinesio), Luciano Dell’Aglio (Cirillo) e della superlativa Serena Mazzei (Ipazia) capace di manifestare, in modo assolutamente credibile, il distacco del mito dal mondo e l’intensità dell’anima della donna.

Meritatissimo il lungo applauso finale.

© Riproduzione Riservata


foto di Marco Balzano

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Regia, scene, luci e costumi di Theodoros Terzopoulos. Al Teatro Bellini di Napoli dal 24 febbraio al 5 marzo di Antonio Tedesco Beckett ritornò più volte sul testo di Aspettando Godot, specie in occa

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