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“Gemito, l'arte d' o' pazzo” - Testo e regia di Antimo Casertano

Al Teatro Piccolo Bellini di Napoli, dal 26 aprile al 1 maggio 2022



di Antonio Tedesco

“Gemito, l'arte d' o' pazzo” - Testo e regia di Antimo Casertano

Napoli – La follia dell'artista è un tema che ha sempre esercitato grande fascino. Un fascino che scaturisce dal contrasto tra il disordine mentale ed esistenziale del realizzatore e l'armonia e la bellezza dell'opera realizzata. Dove il primo, secondo una visione un po' troppo idealizzata e romantica, si pone come causa ed effetto, allo stesso tempo, della seconda. Terreno affascinante ma sdrucciolevole, insidiato da un'incombente retorica, nel quale Antimo Casertano, con il suo spettacolo Gemito, l'arte d' o' pazzo, di cui è autore, regista e interprete, si avventura attaccandosi, per così dire, ad alcuni punti fermi. Il grande scultore napoletano, Vincenzo Gemito, viene colto qui in un momento di svolta della sua vita. Quando ormai artista riconosciuto e celebrato, riceve direttamente da Umberto I la commissione di realizzare una delle statue che ornano la facciata del palazzo Reale a Napoli, e cioè quella di Carlo V. Incarico che, invece di gratificarlo, innesca in lui i germi di una violenta crisi. Dovuta sia alla poca dimestichezza con la lavorazione del marmo, che non era il suo materiale abituale, sia alla scarsa sintonia con il soggetto a lui poco affine. Questo scarto, e i tentativi di superarlo attraverso la realizzazione di copie in bronzo e di viaggi a Parigi per consultare artisti amici, contribuisce a minare pesantemente un equilibrio psichico probabilmente già precario, che lo portò a due anni di internamento in manicomio. Su questo punto, sulla malattia mentale vista come ossessione compulsiva della presunta inadeguatezza della propria arte, si concentra il testo di Casertano, che parte come una sorta di polifonia per mezzo della quale gli attori in scena rappresentano il conflitto interiore che si agita nella mente dell'artista. Mentre lo stesso Casertano, nei panni di Gemito, dà forma fisica a questi tormenti attraverso gestualità e movimenti incessanti e frenetici. Al centro della scena un grosso blocco di marmo (quasi un enigmatico monolite kubrickiano) come simbolo materiale dell'ossessione dell'artista. Un blocco che contiene una forma che si rifiuta di manifestarsi. Ma che allo stesso tempo si fa oggetto di scena e assume più valenze. Con quel blocco lo scultore dialoga, quasi si accapiglia, ne fa specchio, oltre che motivo, della propria sofferenza.

Una messa in scena stilizzata questa di Casertano, dove alle “voci di dentro” dell'artista si alternano, dopo la fuga dal manicomio e il ritorno a casa, i dialoghi con la moglie che lo accoglie, lo protegge e, per certi versi, è anche vittima della sua follia, e dell'amico, Salvatore Postiglione, vicino, in molti sensi, alla famiglia. Mentre da quel blocco di marmo emerge, come un fantasma persecutorio, e rappresentazione visionaria della follia, la statua animata di quel Carlo V che Gemito non scolpirà mai. Come autore e regista Casertano cerca di indagare e approfondire i meandri di tale disagio umano e creativo ma lasciandolo racchiuso in questo unico, seppur lungo, episodio della vita dell'artista. Come attore si produce in una performance forse più ginnica che emotiva rappresentando, in qualche caso anche sopra le righe, la follia come estrema, ingovernabile fisicità. Con lui, sulla scena del Piccolo Bellini, dove lo spettacolo sarà fino a domenica 1° maggio, Daniela Ioia, molto efficace nei panni della moglie amorevole, ma non priva di qualche tratto di ambiguità, e Luigi Credentino che è l'amico Postiglione, versatile e bravo nel trovare atteggiamenti e intonazioni giuste per assecondare le varie sfumature emotive in cui si articola essenzialmente lo spettacolo. Presenza inquietante e simbolica, la statua rappresentata da Ciro Karussh Giordano Zangaro, cui, oltre le diverse apparizioni, è riservata una sola battuta nel finale. Suggestivo il commento musicale di Marco D'Acunzo e Marina Lucia.


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