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Ezio Mauro, il Muro fa spettacolo



di Gianmarco Cesario

Quella di Ezio Mauro è senza dubbio tra e “penne” più conosciute e apprezzate in Italia: dopo essere stato per quattro anni direttore del quotidiano La Stampa, nel 1996, subentra ad Eugenio Scalfari nella direzione di La Repubblica, testata per la quale, in precedenza, era stato inviato come corrispondente dalla città di Mosca, dove per tre anni ha seguito da vicino le trasformazioni dell’Unione Sovietica della Perestrojka e, quindi, la fine della guerra fredda. Nel 2017 comincia una nuova avventura: raccontare la storia utilizzando il teatro. Nasce così la trilogia di cronache storiche che ha come primo capitolo la narrazione della Rivoluzione russa, quindi il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro e, quest’anno, la caduta del muro di Berlino. Uno spettacolo “coi fogli in mano, una sorta di reportage giornalistico’, così lo stesso Mauro definisce Berlino, cronache del muro, che in Campania sarà in scena il 18-19- 20 e 21 novembre 2019, rispettivamente al Parravano di Caserta, al Gesualdo di Avellino, alla Sala Pasolini di Salerno, al Nuovo di Napoli. “Ho scelto il teatro come mezzo per raggiungere un pubblico diverso a cui racconto vicende tragiche che compongono un grande romanzo dell’umanità, e reggono ad un impianto a metà strada tra rappresentazione scenica e reading. Insieme ai produttori, gli amici di Elastica, e a Carmen Manti, che cura la messinscena, ho costruito uno spettacolo con immagini, musiche, suoni, e attori che mi accompagnano di volta in volta, senza abbandonare la traccia fissa del percorso giornalistico, che è la bussola di tutto’: Non si modifica quindi il lavoro, cambiano però linguaggio, strumento e pubblico, “ed è una cosa estremamente interessante per un giornalista, perché le parole pronunciate sono diverse dalle parole scritte. Ci sono sere che sento scattare

qualcosa tra me e chi mi guarda e ascolta: Con il racconto della caduta del muro si conclude, quindi questa trilogia che, in qualche modo segna la parabola di un’ideologia: la nascita del comunismo reale, la devianza del terrorismo e la fine della guerra fredda.

Ma, come spiega Mauro, tale considerazione è possibile solo con una lettura a posteriori. “In realtà i tre progetti sono nati indipendentemente, per celebrare, ognuno di loro, degli anniversari”, un secolo dal 1917, i 40 anni dal caso Moro e i 30 dalla caduta del Muro. “E gli anniversari - spiega - per un giornalista risuonano come un gong. Dei due avvenimenti più recenti tra quelli che ho trattato (caso Moro e caduta del Muro), molti di noi hanno ricordi personali. Soprattutto del caso Moro, le persone che mi venivano a trovare dopo lo spettacolo, ricordavano dove fossero e cosa facessero in quel momento, un po’ come sarebbe poi avvenuto per 1’11 Settembre 200l. Il nostro è il tentativo di unire delle vicende di trenta, quaranta anni fa, evidenziandone le ripercussioni che hanno avuto sull’oggi, andando nei posti, trovando, se ancora ce ne sono, dei testimoni, parlando con chi oggi anima quei luoghi. Tutto questo viene elaborato in un racconto con la speranza che faccia riflettere. “Il muro di Berlino fu abbattuto dopo quasi trent’anni, in seguito ad una dichiarazione improvvisata del ministro Giinter Schabowski. Spesso nel ripercorrere la storia ci si accorge che la casualità ha avuto il suo peso. Basti pensare, a proposito della rivoluzione di febbraio 1917, che il partito bolscevico non ne fu la guida, ma in qualche modo la inseguì, arrivando a guidare, mesi dopo, la Rivoluzione d’Ottobre. Così fu nel 1989 per Schabowski, che ricevette un foglio di istruzioni per la conferenza stampa, che non lesse, e quando Riccardo Hermann, giornalista dell’Ansa, gli fece la domanda decisiva, chiedendo quando sarebbe stato possibile uscire dalla Germania est senza chiedere permessi, la risposta fu: “Da quel che mi risulta, da subito’: Chi aveva assistito in televisione alla conferenza, uscì in strada per vedere se quella dichiarazione fosse fondata, e da lì, anche grazie alla televisione della Germania occidentale, una valanga di persone passò il confine senza chiedere permessi o passaporti, come effettivamente era nelle intenzioni della DDR”.


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