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"Don Juan in Soho" Teatro Bellini di Napoli dal 20 ottobre al 7 novembre 2021

di Patrick Marber

ispirato al Don Giovanni di Molière

con (in o.a) Federica Altamura, Joele Anastasi, Alfredo Angelici, Noemi Apuzzo, Claudio Benegas, Claudia D'Avanzo, Mauro Marino, Alfonso Postiglione, Daniele Russo, Arianna Sorrentino, Enrico Sortino scene Roberto Crea costumi Chiara Aversano disegno luci Salvatore Palladino progetto sonoro Alessio Foglia regia Gabriele Russo

produzione Fondazione Teatro Di Napoli - Teatro Bellini



Il testo

Don Juàn in Soho è un adattamento del Dom Juan ou Le Festin de pierre di Molière (Don Giovanni o il convitato di pietra) che l’autore britannico Patrick Marber ha realizzato nel 2006 — e poi rimaneggiato nel 2016 — portandolo in scena al Wyndham's Theatre di Londra. Protagonista, l’attore scozzese David Tennant, noto al grande pubblico per serie di successo come Doctor who, Broadchurch, Jessica Jones, ma soprattutto per il ruolo nel quarto episodio della saga di Harry Potter.

Patrick Marber è un autore di successo cinquantacinquenne piuttosto fuori dal comune (ha ricevuto diversi premi teatrali e una nomination agli Oscar), ha al suo attivo circa una decina di testi, scritti dal 1995 fino ai giorni nostri. La caratteristica principale dei suoi lavori è quella di innestare con grande disinvoltura il linguaggio comico-cabarettistico in strutture e personaggi mutuati da testi più o meno classici.

È il caso di Don Juàn in Soho, in cui Marber rispettando la struttura del Don Giovanni di Moliere, o per meglio dire, ritagliandone il calco, lo trasferisce nella realtà della Londra di oggi e di un preciso nonché famigerato quartiere del West End: Soho, la zona a luci rosse!

Questo teatro naturale fa da scenario alle vicende di DJ, il nostro Don Giovanni, che incarnando molti degli archetipi del maschio contemporaneo medio, un fascinoso antieroe, una figura moralmente deprecabile e ambigua, finisce però col risultare straordinariamente unico nella sua potente radicalità, nel suo essere estremo, punk.

In altre parole, l’attualità e la forza del personaggio disegnato da Marber sta nella sua capacità di vivere fino in fondo ciò che gli altri recitano male. Vale a dire, che molti oggi nella società del divismo di massa e dell’ostentazione a ogni costo, vogliono fare i Don Giovanni, ma pochi, riescono ad esserlo veramente e pochissimi ne accettano fino in fondo le conseguenze.


La regia

Molière è uno di quegli autori che è stato contemporaneo al suo tempo. I suoi testi e le sue interpretazioni dato che era un famosissimo attore, erano certamente molto divertenti, poco confortanti e spesso piuttosto volgari. O per meglio dire, utilizzavano un linguaggio molto vicino a quello delle persone comuni: in pratica Molière faceva satira, una satira molto feroce e senza sconti.

Già dai tempi in cui ho messo in scena Il Misantropo (2007) ho sentito che in quest’autore c’erano incredibili possibilità di riscrittura. L’ipocrisia, l’indifferenza, lo squallore che Molière sapeva raccontare, esibire, con magistrale naturalezza, non solo può essere portato nel presente, ma può essere spinto molto in avanti.

In altre parole, portando in scena un Molière ti accorgi che mentre i tuoi attori recitano, lo fanno comunque meno di quanto loro stessi farebbero nella vita vera in quelle stesse situazioni.

È esattamente per questo motivo che si è fatta strada in me una consapevolezza più generale su questo tipo di messinscene. In pratica qui l’autore funge oltre che da drammaturgo che riadatta, ma che poi finisce col riscrivere un testo classico, anche da dramaturg: fa un’operazione di riscrittura capace di riconsegnare un classico archetipo come quello di Don Giovanni, al pubblico di oggi, riconnettendo letteralmente un testo del ‘600 a un suo presente, il nostro. Portando a compimento un lavoro di riscrittura che non allude ma, semplicemente, è.

Pertanto la chiave della mia messinscena più che giocare sulle ambientazioni, sullo scenario (che comunque resta un elemento centrale, presente persino nel titolo) si concentra e riflette sulla recitazione, o meglio sulle recitazioni possibili in un simile testo. O ancora meglio, sulla lingua, sui tanti modi possibili e qui necessari di porgerla attraverso gli slang, le cadenze specifiche, gli accenti locali. Come in un impasto o se si vuole un ventaglio ricco ma coerente.

Questo è per me il punto in cui si gioca la credibilità, il patto di verosimiglianza con il pubblico. Un filo più che mai sottile che paradossalmente risulta più complesso da ottenere quando si mette in scena un testo classico che utilizza il voi e termini e modi ormai desueti.

Sarà una messinscena che pur non rinunciando alla “forma teatro” giocherà la sua partita tutta nel rapporto con il pubblico. Nella smaccata riconoscibilità dei segni e dei personaggi, rinunciando apparentemente alla metafora e lasciando che essa sia sotterranea. Lavorando su un primo livello di fruizione che non abbia il timore di essere pienamente popolare. Di parlare al presente, senza filtri.

In definitiva, la scelta di portare in scena questo testo, dopo sedici mesi di chiusura, non può non essere condizionata dal vissuto dell’ultimo anno e mezzo e dalle riflessioni sulla funzione del teatro che ne sono conseguite.

Edonismo, narcisismo, necessità di godere a ogni costo, desiderio di desiderio... Don Giovanni è un’ emblema di ciò che è inaccettabile, c’è però una radicalità nuova nel suo personaggio: quella di non recitare un ruolo ma di esserlo.

Allo stesso modo diventano radicali e corrispondenti al presente le domande che porta con se questo specifico modo di agire: pur di sopravvivere e mantenere un’apparenza di vita immutata rispetto al passato, fino a che punto sono disposto a sacrificare le mie libertà? E fin dove è circoscritto il campo della libertà individuale se va a ledere la libertà altrui? Quanto costa agli altri e oserei dire al pianeta la libertà delle proprie azioni? Infine, tornando più semplicemente al testo, fino a che punto un DJ ha diritto di vivere ed agire come meglio crede, a discapito di tutto e tutti?

Il DJ di Marber come il Don Giovanni di Moliere decide di farsi ammazzare pur di non tradire se stesso, di non rinunciare alla sua libertà, ai suoi vizi, alla sua morale perversa. Ciò nondimeno potremmo dire che DJ resta anche nella versione di Marber, narciso, ipertrofico, consumista, manipolatore...

Lo Sganarello di Moliere, Stan nella versione di Marber, ne è il rovescio della medaglia. Moralizzatore, ipocrita, in fondo cedevole al compromesso. Parassitario. Un haters dei nostri tempi.

Stan sale con DJ sulla giostra della vita, tradotta scenicamente con Roberto Crea in un grande rettangolo girevole, vivendo da osservatore apparentemente passivo un’altalena di emozioni forti, in cui nella commedia si annida la tragedia e viceversa. E naturalmente il viaggio diventa anche e soprattutto il viaggio di DJ nell’universo femminile, il suo mondo oggetto. Un universo descritto con altrettanta crudezza da Moliere e ancora da Marber in cui la sola iconica Elvira, che io vedo come una Carola Rakete dei nostri giorni e descritta da Marber come un’attivista impegnata nella difesa di un ecosistema sostenibile, ne esce, dopo la devastante esperienza con DJ, come una donna più consapevole e pronta, una donna nuova. Tutt’intorno, in commedia, il caleidoscopio di tipi umani, le escort, l’arrivista, la radical chic a strutturare un contesto visivo che non rinunci alle derive estetiche dettate dalla moda e da ciò che può sembrarci volgare ma non è altro che mainstream.

In conclusione, credo che la lettura di questo Don Giovanni non si inscriva nella tradizione delle riletture di questo testo, da Molière, a Mozart a Tirso de Molina... non è questa la pista, non è questo il filo interpretativo. Piuttosto è nella figura intrinseca di un tipo come Don Giovanni oggi che sento un abbrivio alla nostra epoca. È la sua identità nel presente che lo fa essere contemporaneo e da cancellare?

Gabriele Russo

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