Penultimo appuntamento della rassegna Teatro alla Deriva alle Stufe di Nerone a Bacoli
di Rita Felerico
In un periodo in cui c’è il forte bisogno di ragionare sul valore del teatro, dove si
colloca Teatro alla Deriva?
“Teatro alla Deriva, come tutte le iniziative che non soffrono di gigantismo e che
vengono portate avanti da un gruppo volitivo di persone, si colloca in quel magnifico
mondo nel quale vedi tornare tanto pubblico, di anno in anno, grazie al mix felice di
location suggestiva, ospitalità cordiale ed educata, qualità medio-alta degli spettacoli
selezionati e prezzi contenuti. Il tutto all’interno di un format unico in Italia, dato che
gli spettacoli vanno in scena su di una zattera galleggiante, che non è proprio uno
spazio scenico assai comune. Credo di poter dire che ‘Teatro alla Deriva’ occupa una
nicchia ben definita e riconoscibile, nella quale tante compagnie indipendenti hanno
verificato finora la bontà del loro lavoro alle prese con una situazione inusuale e
affascinante. E che tutto questo fa della nostra rassegna un passaggio desiderato e
cercato da tantissimi teatranti, il che ci onora e ci stimola oltremodo”. (da una
intervista di Francesca Hasson a Giovanni Meola apparsa nel giugno scorso su Eroica
Fenice )
Con queste parole rilasciate in una recente intervista Giovanni Meola, direttore
artistico della rassegna Teatro alla Deriva – il teatro sulla zattera, definisce in modo
giusto ed efficace il successo di un format giunto ormai all’ undicesima edizione a
Bacoli; anche quest’anno con i suoi 4 appuntamenti presso le Terme – Stufe di
Nerone (le domeniche dal 3 al 24 luglio alle 21.15) la rassegna ha fatto sognare, nelle
sere infuocate di questo luglio, un pubblico desideroso di riabbracciare il teatro dopo
la paura pandemica e i distanziamenti del corpo e della mente.
Lo spettacolo Don Giovanni (del limite e della finzione) di Molière, con la
traduzione e l’adattamento di Antonio Piccolo e la regia di Mario Autore in scena
assieme a Anna Bocchino, Ettore Nigro, Antonio Piccolo e Federica Pirone, ha
finalmente debuttato (dopo le vicissitudini pandemiche) domenica 17 luglio, gettando
alla deriva tutte le emozioni e l’ansia che accompagnano i debutti e, in questo caso,
un debutto carico di desiderio, dopo rimandi e forzate posticipazioni.
Particolare quindi la location, particolare l’atmosfera – che si intuiva – di attesa
e di gioia nell’andare finalmente in scena trasmessa dagli attori (attendevano da
marzo il debutto), particolare il gioco di scambio di ruoli fra attori, regista e
traduttore. Tranne Don Giovanni e il suo servo Sganarello, gli altri hanno mutato
volti e quindi personalità in men che non si dica, rocambolando nel piccolo spazio del
palcoscenico galleggiante. Bravi tutti.
Le attrici, che nel cambio dei costumi dietro un piccolissimo porta abiti, hanno
ridato figure femminili diverse e tutte molto intense, da Elvira alle contadine, dalla
madre alla giovane donna concupita da Don Giovanni. Un veloce cambio d’abito e
mutano le figurazioni, le immagini nella fantasia degli spettatori: si immedesimano
con convinzione Anna e Federica in queste donne arrabbiate, rassegnate, fiere,
orgogliose, coraggiose. Anna è una Elvira straziante nel suo inaspettato dolore e al
tempo stesso centrata nelle sue scelte o la contadina astuta e ingenua. Federica è la
madre chiusa nei pregiudizi incapace di comprendere il figlio, offesa nel suo onore o
la donna attraente di cui si invaghisce Don Giovanni.
Sembra essere un habitat precario il palcoscenico per Ettore, un Don Giovanni
esuberante ma al tempo stesso ben delineato nei suoi limiti e manie, sempre pronto a
recuperare quel suo profondo e negativo essere, quasi a giustificarlo agli occhi di tutti
e in primis del suo servo, che tenta con insuccesso di portarlo a riflettere sui suoi
errori. E Sganarello, il servo, è interpretato con naturalezza ( sembrano appartenergli
da sempre gli abiti ) da Antonio, molto vicino nella espressività ad un personaggio
goldoniano pronto a servire e criticare. Come traduttore e adattatore del testo
(composto di ben sei atti ) ha poi saputo cogliere i segni innovativi insiti nella prosa
di Molière, soprattutto nei toni sarcastici con i quali il grande commediografo rivela il
suo essere uomo di teatro, più che regista e drammaturgo.
E poi il c’è regista, Mario, l’Eduardo nel film di Sergio Rubini; qui lo vediamo
indossare anche i panni del convitato di pietra e di compositore, a gestire con
maestria suoni e tastiera. Una regia ( e qui si vede la coesione, la complicità, il
livello di ascolto che esiste fra gli attori, il regista e il traduttore ) scevra da ogni
prevaricazione interpretativa, che ha messo in evidenza le capacità espressive dei
protagonisti e il desiderio di riportare Molière nel cuore degli spettatori di oggi, nei
‘limiti e nella finzione’ che si deve.
Un Don Giovanni che – rodato in questa particolare edizione - andrebbe
gustato e rivisto in teatro (e lo speriamo) per godere meglio dell’appropriazione dello
spazio del palcoscenico immaginata dagli attori, dal regista, uno spettacolo prodotto e
voluto – auguriamoci con un successo sempre più acclamato – da Piccola Città
Teatro, un gruppo che si distingue per professionalità, originalità creativa, serietà di
ricerca. Un plauso per i costumi e le soluzioni di scena.
© Riproduzione Riservata
foto di Nina Borrelli
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