Di Francesco Gaudiosi
Quella di Liliana Castagnola è probabilmente storia poco nota al pubblico dei nostri giorni, ma assai conosciuta dai napoletani di inizio ‘900 che videro questa donna protagonista della cronaca rosa – e, disgraziatamente, anche nera – di quel periodo. Celebre chanteuse, o sciantosa, come da gergo tipicamente napoletano, Castagnola fu una delle dive più applaudite e apprezzate nella Napoli degli anni ’20, vantando un vasto numero di ammiratori, seguaci, spasimanti e assidui corteggiatori che la veneravano sia per il suo ammaliante fascino nordico (Castagnola era nata a Genova nel 1895) che per la sua presenza scenica.
In scena fino all’età di 35 anni, sicuramente troppi per far fronte alla competizione spietata di altre sciantose più giovani di lei e in grado di garantire con successo il divertissement offerto alla borghesia napoletana, Castagnola rappresentava nonostante la sua età una donna ancora al centro dell’attenzione pubblica, grazie al suo charme e alle sue capacità artistiche.
La storia di Liliana Castagnola è raccontata nello spettacolo “Diva”, in programmazione il 16 e 17 giugno al Campania Teatro Festival, di Corrado Ardone e per la regia di Lara Sansone, che è in scena proprio nelle vesti dell’affascinante sciantosa. “Diva” racconta al pubblico una storia di successo e di amori, ma anche di disgrazie e di oblio: proprio verso gli ultimi anni della sua carriera, Liliana Castagnola conosce Antonio de Curtis, in arte Totò, di cui si innamora follemente. Tuttavia, Totò è più giovane della Castagnola, intenzionato a fare carriera sui palcoscenici di tutta Italia e restio a vivere a pieno la relazione con la sciantosa che vorrebbe condividere in maniera stabile con lui le fortune derivanti dalla sua carriera di successo. In questa storia di rifiuto, forse il primo e l’unico della Castagnola dopo una carriera di finte relazioni e di amori senza sentimento, la “diva” si sente perduta. Dopo aver incontrato Totò nel dicembre del 1929 e un inizio di relazione che faceva presagire grandi aspettative, anche per la cronaca rosa di quel tempo, la graduale ritrosia del Principe de Curtis di finire sotto i riflettori (cosa invece a cui la Castagnola era assai abituata e ben a favore), il graduale allontanamento di Totò spinge la Castagnola a un periodo di solitudine. Sempre più anziana per il mondo del Cafè chantant e allontanata dall’unico uomo che ha veramente amato nella vita, il tre marzo del 1930 Liliana Castagnola si toglie la vita. Nei giorni successivi Napoli non fa che parlare di lei, della sua improvvisa morte che il regime fascista intende far passare per una tragedia derivante da un errore nella somministrazione del sonnifero piuttosto che nella volontà deliberata della donna di togliersi la vita a causa della sua infelicità.
“Diva” è uno spettacolo ben costruito, in cui si fondono con coerenza narrativa la fase dell’indagine, a cura della Regia polizia (ostacolata dai reggenti del governo fascista di Napoli), con i vissuti in prima persona della Castagnola. La fase delle indagini riesce quasi ad evocare il fantasma di quella donna, per permettere al pubblico di riascoltare i suoi ricordi, di rivedere le sue amicizie e la sua storia di celebre sciantosa al Teatro Santa Lucia di Napoli. Ma l’indagine, intenzionata a valutare anche eventuali ragioni che avrebbero potuto condurre al delitto di una donna così bella e famosa nel panorama napoletano, dovrà fare i conti anche con i lati oscuri di questa personalità: le sue solo apparenti relazioni con abbienti impresari napoletani, la sua residenza in una pensione per gli artisti con la proprietaria Ida Rosa (magistralmente interpretata da Leopoldo Mastelloni) indebitata fino al collo e la morale dell’epoca che vede nella donna il mero prodotto del divertimento e del benessere della società fascista degli anni ’20, rappresentano solo alcuni degli elementi di possibile infelicità della Castagnola.
In scena, con Lara Sansone e Leopoldo Mastelloni, troviamo anche Gino de Luca, Massimo Peluso, Giorgio Pinto, Ruben Rigillo, Ingrid Sansone e Ivano Schiavi. Le scene disegnate da Francesca Mercurio ben si prestano a questa narrazione multidimensionale, ricreando da un lato il tempo presente delle indagini, dall’altro il tempo passato, della vita della sciantosa. A ciò si legano i suggestivi costumi inizio-novecenteschi a cura di Teresa Acone. “Diva” riesce ad essere un prodotto in buona parte riconducibile al nucleo creativo del Teatro Sannazaro di Napoli, che racconta con eleganza e perizia storica la vita di una donna tanto famosa quanto sfortunata nell’amare l’unico uomo che non è disposto a trascorrere la sua vita con lei. Una femme fatale a cui però proprio Totò, oltre a dedicarle il nome di sua figlia, che chiamerà appunto Liliana e far seppellire le spoglie dell’artista nella cappella di famiglia, dedicherà questi versi: «È morta, se n’è ghiuta ‘nparaviso! Pecchè nun porto ‘o llutto? Nun è cosa rispongo ‘a gente e faccio ‘o pizzo a riso ma dinto ‘o core è tutto n’ata cosa!».
“Diva” è storia di un pregiudizio verso una donna così amata, un’artista così discussa ma lontana dal perbenismo borghese e fascista degli anni ’20, che mette in luce l’umanità di un personaggio in tutta la sua fragilità emotiva. Tolte le colorate vestaglie del Café chantant, lo champagne e i numerosissimi mazzi di fiori che adornano la sua stanza nella pensione di Via Sedile di Porto, resta il ritratto di una donna pensierosa, che forse nasconde nel suo sorrido un’inquietudine, una paura di una voragine che sembra lentamente comprimere la libertà espressiva di questa sorprendente figura femminile nella storia della cronaca e del costume italiano.
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