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Ctf – "Future Music" Ciccio Merolla

Teatro Nuovo – 22 giugno ore 21:00




Di Alex Capuozzo


Il palco di Future Music è tutto analogico. Strano, considerato il titolo mi sarei aspettato una rete di computer, campionatori, strumenti e diavolerie elettroniche. Invece, nulla di tutto questo.

Lo spettacolo di Ciccio Merolla che si è tenuto lo scorso 22 giugno al Teatro Nuovo di Napoli, evento unico nell'ambito del Campania Teatro Festival, è stato una roba tutta legno, pelli, ottone, muscoli e cuore.

Con l'eclettico percussionista Merolla c'erano il maestro Pietro Condorelli, docente di chitarra jazz presso il conservatorio San Pietro a Majella di Napoli (fonte wikipedia n.d.r.), ricca carriera alle spalle, uno che quando suona una melodia sillaba con le labbra le note una ad una, come quando leggendo un testo, per entrarci meglio dentro, si legge muovendo silenziosamente la bocca. Preciso, sempre sul pezzo, nella mia opinione incerto nella scelta dei suoni. I puliti non sono mai stati limpidi i distorti non sono mai stati completamente cattivi.

Alla tromba, ma credo di aver visto anche un filicorno soprano, il giovane Arturo Caccavale a ricamare atmosfere sospese tra il jazz e la word music quando non si è cimentato anche nel canto e nei cori.

A supportare le rimiche del frontman, al basso, l'immenso Davide Afzal a produrre note che hanno alzato un solidissimo muro sonoro a supporto dell'intero spettacolo. Bassista preciso, fantasioso, tecnicamente ricercato, dal suono "gommoso" e pieno che dove lo metti lo metti fa la sua evidente differenza.

Di Ciccio Merolla non direi che è un percussionista. Circondato da un ricco armamentario di fusti, pelli e piatti il capo della banda è uno che ha fantasia da vendere e traduce in ritmi e suoni le sue emozioni. Ho colto tracce del neapolitan power degli anni 70/80, ho visto aleggiare sul palco l'estro di Geggè Di Giacomo, ho distintamente ascoltato suoni provenienti dalle Americhe del sud ma anche dai jazz club di New York.

Tecnicamente è perfetto e misurato. Ciccio si destreggia tra un set di percussioni e una classica batteria jazz con disinvoltura. A testimoniare la confidenza che il musicista ha con gli strumenti, assoli che non annoiano, mai troppo lunghi, espressivi, viaggi intorno al mondo. Usa il pedale dell'Hit-Hat indifferentemente con il piede sinistro quando è in modalità batterista classico e con il destro quando è al set di percussioni.

La cifra di Ciccio Merolla è la fantasia e l'equilibrio. Il pubblico non si annoia mai, batte le mani, partecipa al rito e alla fine insiste anche per un bel "encore". Personalmente nella setlist ci ho visto solo due piccole cadute: l'omaggio a Ryūichi Sakamoto con la inflazionata Forbidden Colours che si poteva anche fare senza e l'omaggio a Rino Zurzolo che con la voce tenorile di Caccavale si è trasformata in un omaggio ai ragazzi del Volo.

Interessante il brano eseguito da solo all'handpan, uno strumento metallico che produce suoni armonizzati tra loro, molto simile ad un tamburo, che conduce il pubblico verso le coste dei Caraibi senza scadere nel didascalico.

Bellissimo l'omaggio a Pino Daniele. Scansato il fosso "Napule è", Merolla ha tirato fuori dal cilindro un brano strumentale tratto dalla colonna sonora di "Pensavo Fosse Amore… Invece Era Un Calesse" un misto di jazz, fusion e ritmi sudamericani con un pensiero dedicato anche a Massimo Troisi.

Il meglio arriva nella seconda metà del concerto, il teatro è nel mezzo dei Quartieri Spagnoli, casa sua, i suoi vicoli, i suoi suoni. E allora levatevi di mezzo rapper nostrani da talent televisivo, campionati, armonizzati, digitalizzati. Merolla porta il ritmo sostenuto da basso di Afzal, apre il cuore e inizia a raccontare in forma di rap storie di disagio, voglia di fuga e di riscatto, di mamme che impastano ipnotici casatielli dell'anima. Bello, perché una forma espressiva nata i luoghi lontani, un un sud del mondo diverso dal nostro, assume una sua genuina espressione mediterranea. I temi sono quelli tipici del rap ma il palco, ripeto, è fatto di legno, pelli, corde che vibrano, corpi che sudano ed è festa per tutto il pubblico che riconosce le espressioni della tarantella e dei nostri canti della tradizione. Riconosce Daniele ma anche Totò, Troisi, Senese, Napoli Centrale, Carosone e tutto il resto appresso, fino ad arrivare al liberatorio "burdell" che se non salva, per un momento, ristora gli animi.


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