di Generoso di Biase
Mi accingo a scrivere di “Amleto (o Il Gioco del Suo Teatro)” del regista Giovanni Meola, con ancora nelle orecchie il suono del lungo applauso con cui gli spettatori hanno manifestato il proprio gradimento. Ero tra loro a godermi la bravura di un artista colto. Giovanni Meola è in grado di distruggere, dissacrando, e, al contempo, utilizzando linguaggi affatto diversi, ricomporre in chiave moderna l’emotività della stessa opera dissacrata. Solo chi ha sedimentato le nozioni, trasformandole in cultura, è capace di fare ciò che ha fatto il nostro regista.
Ho visto sul palcoscenico senz’altro Shakespeare, ma anche i manga, anche la comicità dei cabarettisti degli anni ‘60/’70, la recitazione dei grandi mimi del secolo scorso. “La verità, la verità” un desiderio più volte espresso sul palcoscenico. E la verità ci è stata offerta. Via tutto ciò che è ridondante, tutto ciò che è dramma patetico, via la forma dei sentimenti utilizzata dall’Elisabettiano autore, ma conservazione della sostanza che si riscontra nel “Amleto” con la messa a nudo dell’animo umano che combatte l’eterno, feroce duello tra la voglia di potere e la necessità di amare. Amore da intendersi nell’accezione più ampia possibile.
Nel dramma messo in scena dal nostro regista nulla è patina. Tanta ironia, nella consapevolezza che è l’unica arma (rectius: medicina) per difenderci dalla fragilità dell’uomo di oggi, dalle nostre fragilità. Meola non strizza l’occhio al politicamente corretto, l’interscambiabilità dei ruoli cui si ricorre per l’intero spettacolo, non è semplicemente riconoscere la possibilità alla donna di assumere ruoli maschili, a compensazione di quando le era impedito di recitare, sarebbe poco, sarebbe forma, egli intende eliminare in concreto il contrasto di genere, facendo sì che la donna assuma ruoli di effettivo potere anche se questo abbandono di un immagine, oltremodo aulica su cui, non solo gli uomini, ancora molte donne indugiano, può renderla parte attiva nel duello di cui innanzi: sete di potere o amore.
Ritroviamo nel disfacimento dello schema e la contemporanea ricostruzione in chiave personale del dramma, la sicurezza dell’uomo che è vicino alla consapevolezza di sé, tipica di coloro che hanno avvertito il faticoso dovere di scavare nel proprio animo, anche osservando con attenzione i propri simili per conoscersi
Non ho timore di affermare che ho scorto nell’Amleto di Giovanni Meola la stessa capacità di creare un’opera originale e ben riuscita da un classico ingombrante, come appunto il dramma di Shakespeare, di cui qui trattiamo, che ha avuto Ian Mc Ewan col suo “Nel Guscio”. A vantaggio del nostro regista c’è pero la capacità di dissacrare pur mantenendo, con evidente minimalismo, la stessa ambientazione.
Non posso, però, esimermi dal segnalare una chiara falsità che traspare in maniera incontrovertibile nei dialoghi. Diversamente da quanto asserito sul palcoscenico: gli attori ci sono e bravissimi, il regista (autore) c’è ed è bravissimo, gli assassini pure. Gli assassini di chi non ha e non può far cultura.
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