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Cirillo racconta Ramondino

“Villino bifailiare” al San Ferdinando di Napoli dal 28 aprile all’8 maggio



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di Rita Felerico


Ancora poco conosciuta la Fabrizia Ramondino autrice di testi teatrali; dopo l’allestimento di Terremoto con madre e figlia interpretato da Anna Bonaiuto per la regia di Mario Martone (per il quale sceneggiò il famosissimo Morte di un matematico napoletano) Roberto Andò – direttore del Teatro Nazionale di Napoli – ha deciso di dedicare una parte della ricerca e della programmazione proprio alla conoscenza di alcune sue opere. Villino Bifamiliare, opera inedita pubblicata da Marotta&Cafiero, per la regia di Arturo Cirillo, al San Ferdinando dal 28 aprile all’8 maggio, è fra queste; una drammaturgia particolare, per i tempi e i ritmi con i quali si snoda la vicenda e grazie alle scene di Dario Gessati è come se ci fossero due sguardi che contemporaneamente sul medesimo palcoscenico seguono le vicende di due famiglie, messe a confino in una zona ( alto Adige o Sud Tirolo a seconda di chi guarda ) o meglio due coppie differenti per la loro storia ma drammaticamente unite. Sembrano essere distanti nel loro esserci, ma in realtà e contraddittoriamente specchiano la verità delle relazioni umane. Insieme alle storie personali, si narra rispetto agli accadimenti la storia del fallimento della ragione, delle ideologie, del socialismo, dello sfaldarsi degli Stati e delle guerre mai finite, la sparizione di qualsiasi sogno, la maschera dietro al quale si nasconde la perversità umana.

Un paralitico che poi si rivela ‘finto’, Giuliotti, alto dirigente di un importante partito italiano, mette in atto un piano di oscuro horror come quello dell’uccisione del figlio; un importante esponente di partito, Hogger, fervente socialista che – dopo la caduta del muro di Berlino – impazzisce in una ossessiva follia.

Fra loro le mogli, Gretel, fredda burocrate di partito e Lucrezia, una ‘ semplice’ casalinga, la quale si rivela nel suo bigottismo il personaggio più sincero, pronta a mettersi in gioco, rivelando senza paure il suo sviscerato amore per Hogger. Le donne sostengono un dialogo di confronto senza esclusione di colpi, una lotta sottile le unisce e le allontana. Gretel chiusa verso se stessa e nel suo legame per Hogger non è mai sbocciata, non è mai sbocciato un noi, ed è pronta a deridere l’essere donna di Lucrezia, tendenzialmente ingenua e pronta ancora e nonostante tutto a sognare.

Le coppie vivono guardate a vista dalle guardie di regime, losche figure, smidollati pronti solo ad ubbidire senza domande. Rombi di minacciosi aerei sferzano ogni tanto il cielo, tanto per non dimenticare l’atmosfera di violenza e di oppressione. L’ironia e la capacità di derisione che è un tratto della scrittura della Ramondino è ben interpretata da tutti i personaggi, soprattutto da Hogger, un conseguente Arturo Cirillo che imita con la dovuta leggerezza il Charles Chaplin de Il Grande Dittatore, un richiamo più che appropriato per i tempi che viviamo.

Si potrebbero isolare tanti temi / topoi, dall’incapacità del comunicare e dell’ascoltare l’altro che ci rende sconosciuti pur vivendo fianco a fianco ( mariti , mogli, figli, padri, madri, vicini di casa ) a quella del non saper superare i nostri limiti o a quella di non saper distruggere i rancori. La versione teatrale curata da Cirillo rispecchia l’intermittenza e la irrequietezza dell’autrice, la sua visione proustiana del tempo e del ricordo, l’importanza che riveste la memoria e il ricordo. Forse – sarà stata l’atmosfera della prima – manca rispetto alla dichiarata professionalità degli interpreti una emozionalità più espressiva e coinvolgente e questo non dà ragione alla prova attoriale e ombreggia un testo ricco di tante pieghe di lettura. Con Sabrina Scuccimarra, Franca Penone, Arturo Cirillo, Rosario Giglio, Roberto Capasso, Francesco Roccasecca sulle scene di Dario Gessati e con musiche originali Francesco De Melis. Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale.


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Regia, scene, luci e costumi di Theodoros Terzopoulos. Al Teatro Bellini di Napoli dal 24 febbraio al 5 marzo di Antonio Tedesco Beckett ritornò più volte sul testo di Aspettando Godot, specie in occa

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