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CFT - Human Rights? Fotografie di Romeo Civilli

Real Bosco di Capodimonte, cortile della reggia. Dal 10 giugno al 12 luglio



CFT -  Human Rights? Fotografie di Romeo Civilli

di Alex Capuozzo


C’è una regola non scritta che vale in molti i negozi di strumenti musicali per tutti i clienti che provano nuove chitarre: assoluto divieto di suonare Stairway To Heaven. Dovrebbe esistere una analoga regola per i fotografi che vanno in giro per il modo: vietato scattare ritratti a donne, anziani e bambini.

Nell’ambito del Campania Teatro Festival 2022, si è inaugurata il 10 giugno la mostra del fotografo Romeo Civilli intitolata “Human Rights?”.

«Le foto che presento in questa esposizione sono solo una parte dei reportage che ho realizzato in giro per il mondo, trattando problemi quali i campi profughi Saharawi, il lavoro minorile in Ghana, donne e bambini affetti da albinismo in Uganda, spose bambine, Dalit, ragazzi di strada, profughi Rohingya in Bangladesh. Con l’augurio che la Dichiarazione Universale dei Diritti umani diventi una realtà».

Allestimento suggestivo nel cortile della reggia, un recinto di immagini che racchiude al suo interno il palco che ospiterà le innumerevoli rappresentazioni in programma. Fino al 12 luglio i ritratti di Civilli accoglieranno gli spettatori del festival.

Più che un reportage, le fotografie in mostra sono un’antologia delle emozioni del fotografo vissute quando, abbandonate le attività professionali ordinarie, veste i panni del viaggiatore. Le immagini esposte sono prevalentemente ritratti che raccontano di popoli lontani da noi. Fotografie perfette, ben costruite, ben sviluppate, emozionanti che vivono, e questo per me è un pregio, ognuna di vita propria.

Tuttavia, mentre giravo nel cortile della reggia, sentivo la mancanza di una narrazione che conducesse ad una riflessione sui diritti umani e sulla loro assenza. Bambini e donne in grande quantità, in abiti tipici, ritratti anche nella loro quotidianità, inevitabilmente molto diversa da quella del modo occidentale e per questo, a prescindere, affascinante.

Mi sono tornati alla mente i ritratti di Steve McCurry ma privi della stessa intensità, alcuni scatti di Salgado ma senza quel senso di intima devastazione che li hanno resi memorabili. Il fotografo è vicino ai soggetti, li osserva ma non ci entra in contatto, non li racconta. Guardo le foto ma sento la mancanza del racconto promesso dal titolo della mostra e dell’incertezza annunciata da quel punto interrogativo.

Un reportage ha bisogno di una idea di narrazione per essere coinvolgente. Alcuni scatti sono così centrati sui volti dei protagonisti che se non ci fossero le didascalie sarebbe impossibile coglierne la collocazione.

Esempio: immagine di sorridenti bambini dagli occhietti vispi che si affacciano da dietro una grata. Didascalia: campi profughi Saharawi. Risultato: non il racconto di un luogo e di una situazione ma lo spunto per una riflessione. Cosa racconta il fotografo? La sofferenza di un luogo del mondo o il suo intimo smarrimento di fronte alla tragedia di un popolo?

Civilli è abile nel cogliere umane espressioni nelle quali si specchia, indaga gli stati d’animo. Spinge sui colori per coinvolgere lo spettatore ma, nella mia opinione, palesa di aver visitato con sincera passione luoghi del mondo lontani, dove i diritti umani non sono una priorità, rimanendo chiuso in una sua personale riflessione. Probabilmente esigenze di spazio hanno impedito un allestimento migliore e un racconto più minuzioso dei suoi viaggi. Sono sicuro che c’è molto di più oltre gli scatti che ho visto.

Restano dunque immagini accattivanti, sorrisi e sguardi tanto profondi quanto lontani dal nostro vissuto, validissime tracce di terre lontane e differenti umanità.


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