Un racconto personale che nasce dalla interiorità più profonda dell’autore. Unviaggio alla ricerca di un senso per continuare a combattere, a dare un senso alle nostre vite
Di Francesco Gaudiosi
Amen è anzitutto una benedizione. Una parola antichissima, che racchiude nella sua brevità etimologica un’interpretazione binaria. Da un lato, amen è apertura, è benedizione e quindi nascita, è benvenuto al nuovo che arriva. Dall’altro, amen è chiusura, termine della preghiera, accettazione e riconoscimento della conclusione di ciò che è stato. Amen è quindi vita e morte allo stesso tempo.
Da questa premessa fondamentale nasce l’allestimento “Amen”, prima partitura teatrale dello psicanalista Massimo Recalcati che ha presentato il suo lavoro al Campania Teatro Festival il 10 e 11 luglio nel Bosco di Capodimonte a Napoli. Come afferma l’autore a inizio spettacolo, l’intenzione è quella di raccontare un ricordo della propria vita, una “traccia” in senso freudiano. Una sedimentazione di vissuto che, seppur dimenticato, resta presente nelle nostre esistenze, ci accompagna per tutta la vita e diventa indissolubilmente parte integrante del nostro modo di concepire il mondo, i pensieri e le relazioni umane. La traccia qui raccontata è molto antica nella sua memoria: egli prova a ricordare – o, per meglio dire, immaginare – il racconto dei primi mesi della sua vita. Nato prematuro, uscito dal ventre materno senza neanche sei mesi di vita, il bambino nasce in un periodo storico in cui questo avvenimento poteva significare una cosa sola: il rischio, assai probabile, di sopravvivere soltanto per alcuni giorni, semmai mesi, della sua breve esistenza. Quel “mucchietto di ossa”, come racconta, è una creatura non ancora nata del tutto, è una esistenza che non è. Ma nel suo essere così fragile, nel suo sottilissimo filo che la lega alla vita, questa creatura è più che mai vicina alla morte. Ecco che quindi sembra crearsi una giustapposizione quasi simbiotica tra la vita e la morte, tra l’esistenza e la cessazione dell’essere.
Questa storia è raccontata in forma di reading teatrale dalle voci di Marco Foschi, Federica Fracassi e Danilo Nigrelli. Nella regia di Valter Malosti, i tre interpreti suddividono il racconto in tre diverse voci della storia: la madre, Enne 2 (nome letterario attinto dal protagonista partigiano di “Uomini e no” di Vittorini) e il soldato. In questo climax ascendente, si sviluppa la storia di un bambino nato troppo presto, che riceve al contempo il battesimo e l’estrema unzione, racchiudendo in sé la finitezza della vita terrena. Ma che, nella sua potentissima energia vitale, combatte passo dopo passo, come un soldato al fronte, come un partigiano in guerra, la propria personalissima battaglia contro la morte. In quella “scatola trasparente”, pieno di aghi, lame, fili e freddo, come il freddo che si respira nella notte sul fronte di guerra, quella creatura diviene sempre più bambino, comincia “ad essere”, a tracciare i primi passi del proprio percorso vitale.
Nell’allestimento di Malosti, le tre voci in scena sono accompagnate dalla chitarra elettrica di Paolo Spaccamonti e dai live electronics di Gup Alcaro. Questa coesistenza di musiche, suoni e voci crea un ritmo narrativo magnetico, definisce una narrazione teatrale che, nella sua sperimentazione, costituisce un interessantissimo connubio con il testo di Recalcati.
“Amen” è uno spettacolo in forma di concerto per voci ed elettronica che rappresenta il “battesimo” teatrale di Recalcati. Un racconto personalissimo che nasce dalla interiorità più profonda dell’autore, scritto durante i complicati mesi che hanno segnato tutti a causa della pandemia. Un periodo nel quale la pulsione vitale ha sempre dovuto fare i conti con lo spettro della morte, in questa costante battaglia in cui tutti noi, soldati in guerra, tracciamo i nostri piccoli passi nella neve ancora fresca per andare avanti, per continuare a combattere, a dare un senso alle nostre vite. Per cercare, all’inizio, durante o alla fine di questo nostro viaggio, di trovare un senso che possa farci dire amen, cioè “che sia così”, che la vita sia viva, che la morte non sia l’ultima parola sulle nostre vite.
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