Strambe le storie dei teatri che hanno deciso di ospitare per decenni una sola e unica rappresentazione. È come se ci si scegliesse. Per sempre. Col sipario che si apre sulla stessa scena. Con le battute che i tecnici imparano a memoria, con quella voglia di stare bene, di trovare esattamente quello che t’aspetti
Di Guglielmo (Liam) Ferretti
Londra. A Russel Street, tra i giardini di Drury Lane e la piazza di Covent Garden, c’è un piccolo teatro dove si possono stendere le gambe. Nel senso che uno entra, si sceglie una delle 432 poltroncine rigorosamente rosse della platea, e dopo esattamente undici minuti, quando Kipps dice al regista: “Deve essere raccontato. Non posso portare questo peso oltre. Deve essere raccontato…”, gli viene da pensare “ok, non me ne vado più”. E gli viene voglia di stendere le gambe. Appunto.
Questa cosa, questa sensazione, a Londra si consuma da circa trentatré anni. Da quando, cioè, il Fortune Theatre, il “secondo più piccolo teatro del West End” mollò qualsiasi programmazione e decise che tra quelle mura al WC2B 5HH di Russell Street sarebbe andato in scena un solo e unico spettacolo: The Woman in Black. Il capolavoro di Susan Hill, nel geniale adattamento di Stephen Mallatratt. Due attori, qualche vecchia cassapanca, un po’ di tende lacerate dal tempo, e la paura che cresce a ogni attimo. La Donna in Nero. Gambe che si stendono. Voglia di non farlo finire mai, uno spettacolo così.
Sono strambe le storie dei teatri che hanno deciso di ospitare per decenni una sola e unica rappresentazione. È come se ci si scegliesse. Per sempre. Col sipario che si apre sulla stessa scena. Con le battute che i tecnici imparano a memoria, con quella voglia di stare bene, di trovare esattamente quello che t’aspetti.
Lo fanno anche al St. Martin, nel cuore della cittadella di Westminster. Lì c’è Agatha Christie con Trappola per topi. E vanno avanti dal 1974. Ma la storia del Fortune è più calda, più delicata. Ha a che fare con Natale, con le lucine, con i racconti di paura. I fantasmi. Lei. La Donna in Nero, e dietro le quinte lo staff a fare l’elenco della gente che sviene ad ogni replica. Perché la paura, a teatro, è quella che vorresti non finisse mai.
La data è l’8 novembre 1924. Il Teatro della Fortuna è una vecchia struttura bianca che puzza di prima guerra mondiale. Uno scatolone che di imponente ha solo la porta d’ingresso, alta quanto i tre livelli del teatro, e una statua di Tersicore che è la dea della danza, e non si capisce bene cosa ci faccia lì. Dentro ci facevano la Rivista, e per un po’, durante la Seconda Guerra Mondiale, l’ ENSA, il corpo delle Forze Armate,ci organizzava le feste per scacciare l’ansia della chiamata alle armi.
Dopo, solo dopo, quando anche Londra cominciò a tirare il fiato, sulle tavole del palcoscenico di Russel Street ci sono passati tutti i più grandi artisti inglesi. Eppure era una sala come tante. Piccola. Si, piccola. Ma agli inglesi piaceva così e sul grido delle locandine campeggiava la scritta “il teatro più intimo di Londra”. Vabbè. Per la storia delle gambe stese bisognerà aspettare ancora un po’. Il 1983, per l’esattezza. Quando una signora di Scarborough, nella contea del North Yorkshire, decise che avrebbe dovuto scrivere un racconto di fantasmi difficile da dimenticare. La signora in questione si chiamava Susan Hill, il romanzo è The Woman in Black. Un horror da togliere il fiato e che ha tutte le carte in regola per diventare un cult.
Da allora le cose andarono veloci. Il testo finì nelle mani di Stephen Mallatrattun attore di Scarborough col pallino per le sceneggiature ardite. La Donna in Nero della Hill aveva una decina di personaggi chiave. Mallatratt decise che la pièce teatrale se la sarebbero dovuti giocare in due. Arthur Kipps, un vecchio avvocato con sul cuore il peso di un’antica maledizione, e un regista sgangherato che trasformerà la storia del suo interlocutore in un passo a due, dove tutti i protagonisti della vicenda verranno interpretati da una sola persona. Il teatro nel teatro. La fantasia spinta oltre ogni limite. C’è una cassapanca? Ok. Per noi sarà una carrozza con quattro cavalli. E via, e via. A perpetuare, ad ogni attimo, la magia che si chiama palcoscenico.
Tutto qui? No. Perché nel bel mezzo del passo a due, nel pieno dello scambio delle parti, la maledizione che grava sul cuore di Kipps prende forma. E quei due attori improvvisati finiscono per evocare lo spettro che aveva distrutto la vita del vecchio avvocato. Una donna. La Donna in Nero. The Woman in Black. Appare. E giù urla, svenimenti, elenchi dietro le quinte: “Oggi sono crollati in undici. Bisogna migliorare, ragazzi”.
Era il 1987. L’adattamento della Hill debuttò nello stesso quartiere dove era nata la scrittrice. Il successo inaspettato e inarrestabile.
Due anni dopo mr. Mallatratt bussa al gigantesco portone del Fortune. Da allora, per 33 anni e seimila repliche, Il Teatro di Russel Street diventa la Casa della Donna in Nero.
E nel silenzio, dopo undici minuti dall’inizio dello spettacolo, c’è ancora qualcuno che tenta di stendere le gambe.
Buio.
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